Anoressia nervosa; un Adolescente disperatamente affamato

di Priscilla Rucco

I disturbi alimentari quali anoressia, “bulimia e binge eating” sono un fenomeno piuttosto diffuso, specie tra le giovani adolescenti. Spesso si tratta di meccanismi di difesa: l’assunzione del cibo viene usata per gestire stati d’animo complessi, come il senso di vuoto.  

La famiglia, e il comportamento dei genitori, giocano in tutto questo un ruolo fondamentale. Approfondiamo le cause di questi disturbi con il Dr. Lauro Quadrana, dirigente di I° livello, presso il Day Hospital Psichiatrico Adolescenti presso UOC a neuropsichiatria infantile, Azienda Policlinico Umberto I di Roma, Università degli studi di Roma, “La Sapienza”, Responsabile del servizio Psicodiagnostica.

Chi colpisce l’anoressia?

“In Italia le persone che patiscono disturbi del comportamento alimentare sono circa tre milioni. Fra loro, vi sono 2,3 milioni di adolescenti. Tra i tipici disturbi alimentari di questa fase troviamo l’anoressia, una patologia che colpisce nel 95% dei casi le donne, e si sviluppa più spesso nell’età compresa tra i 15 e i 25 anni.

L’adolescenza è a tutti gli effetti una fase più che delicata, un periodo di transizione e di cambiamento. Le ragazze e i ragazzi attraversano un momento nel quale corpo e mente approdano da una condizione di infanzia a quella di giovane età adulta. La pubertà imprime un cambiamento al corpo e la ricerca di approvazione, nel gruppo dei pari e non solo, porta a sviluppare un’attenzione maniacale al proprio corpo e aspetto fisico.

I DCA in adolescenza, sembrano essere un disagio tipicamente femminile considerata l’enorme differenza di prevalenza di genere, che si riscontra nell’insorgenza di questi disturbi, pur colpendo, in misura minore, anche gli adolescenti di sesso maschile. La grande espansione ne fa comunque l’indicatore più diffuso del disagio psicologico femminile in adolescenza.

Le difficoltà che vi sottendono possono essere più o meno gravi, di conseguenza  questi disturbi possono essere collocati nell’ambito di una violenta, ma passeggera, crisi adolescenziale, oppure tendere a strutturarsi in una patologia.

Come gli altri comportamenti problematici che si manifestano in adolescenza (abuso di sostanze, tentati suicidi, autolesionismo, ansia, depressione) segnalano la necessità di scaricare attraverso un’azione ciò che non può essere detto o pensato.

I dati provenienti dalle ricerche dimostrano che nelle società occidentali, o in quelle che ad esse si ispirano, le donne, gli uomini e persino i bambini ricercano un’immagine del corpo ideale. In tali società vari fattori socioculturali contribuiscono ad enfatizzare il valore attribuito alla magrezza (soprattutto delle donne). 

Gli espedienti che vengono utilizzati per raggiungerla spaziano dall’esercizio fisico (palestra, jogging etc), fino alle diete più disparate. In questi paesi si stima che il 60% della popolazione sia, o sia stato, a dieta per un certo periodo della vita. E’ probabilmente questa la ragione per  cui l’incidenza dell’anoressia e della bulimia è maggiore, ed ugualmente diffusa, nei  paesi industrializzati. 

I dati epidemiologici riferiti agli adolescenti in generale parlano di un caso ogni 200, ma prendendo in considerazione esclusivamente la popolazione femminile fra i 12 e i 18 anni, si arriva all’8 % circa. Infatti, studi recenti di prevalenza indicano su mille adolescenti femmine 3 casi di anoressia nervosa, 10 di bulimia nervosa e 70 casi di forme subcliniche che non raggiungono i criteri diagnostici dei disturbi conclamati, ma che necessitano comunque di cure e di attenzione psicologica e medica.
L’età media di insorgenza dell’anoressia nervosa è 16 anni, con dati che indicano una distribuzione con due picchi a 14 e 19 anni. Nel 15-20 % dei casi il disturbo diventa cronico e in circa la metà dei casi c’è un passaggio verso la bulimia nervosa che a volte i clinici interpretano come un miglioramento del soggetto. Forse anche per questa ragione per i casi di bulimia nervosa si osserva un’età media più alta, tarda adolescenza o prima età adulta (18-22 anni), rispetto a quella dell’anoressia. 

Possiamo dire che l’anoressia si sviluppa tra controllo del cibo e paura di ingrassare?

“Le frasi più ricorrenti quando giungono in consultazione in ospedale sono -Mi peso moltissime volte. Mi sveglio con questo solo pensiero che mi farà compagnia per tutto il giorno e mi condiziona l’umore. È una gara che devo vincere. Non valgo nulla se non in funzione del cibo che mangio. E più lo rifiuto, più forte mi sento-.

È possibile definire l’anoressia come una intensa paura di ingrassare. Il percorso verso l’anoressia si avvia, spesso, con una dieta troppo rigorosa, passa attraverso il controllo maniacale delle calorie assunte, fino al rifiuto del cibo. Il rischio che si corre è quello di intaccare le funzioni vitali del corpo. E purtroppo l’immagine corporea che restituirà lo specchio non sarà mai corrispondente all’immagine idealizzata.

L’anoressia è allora un disperato tentativo di difendersi dalle relazioni che feriscono. Alcuni genitori, per esempio, si prendono cura dei figli in relazione ai propri bisogni, non dei bisogni dell’adolescente”.

Quali possono essere le cause scatenanti dei disturbi alimentari in adolescenza?

“L’adolescenza è una fase della crescita delicata e complessa: il corpo subisce rapide trasformazioni; il funzionamento mentale infantile lascia il posto a processi cognitivi e modelli di ragionamento più complessi; al contempo, il legame affettivo con i genitori subisce un cambiamento, si acuisce il senso critico nei loro confronti e si inizia a cercare un confronto con i coetanei. 

Gli squilibri emotivi e corporei che questa rivoluzione comporta possono creare una situazione di fragilità che apre la strada allo sviluppo di un disturbo alimentare. Nel tentativo di padroneggiare tutti questi improvvisi cambiamenti, può accadere che l’adolescente si trovi a operare, proprio attraverso il corpo, un serrato controllo sui propri bisogni ed emozioni, sentiti come eccessivi, caotici e disorganizzanti”.

Quali sono i campanelli d’allarme che i genitori possono riconoscere?

“Spesso i disturbi alimentari emergono durante l’infanzia e proseguono nel corso dell’adolescenza e se non si interviene tempestivamente c’è il rischio che si cronicizzino. A percepire i primi campanelli d’allarme sono le persone che vivono a stretto contatto con i ragazzi. Nel contesto familiare, i genitori possono prestare particolare attenzione ad alcuni segnali per riconoscere la presenza di un disturbo legato all’alimentazione: dai comportamenti anomali a tavola , spesso si possono notare dei rituali durante i pasti, come separare le varie pietanze, tagliarle in piccoli pezzi e mangiare molto lentamente, per le anoressiche, o la tendenza a nascondere il cibo per consumarlo voracemente di nascosto per le bulimiche”.

Cosa si nasconde dietro l’anoressia?

“La persona anoressica è un soggetto disperatamente affamato. Ma questa fame non riguarda solo il cibo bensì ha fame d’amore, anche se sceglie di occuparsi dell’appetito del corpo: la propria autostima è legata all’essere magra.

L’attività di controllo assedia la mente, condiziona la giornata e le relazioni con gli altri. Ti dicono… “Ho fame di tutto. Per questa ragione rifiuto tutto”. 

Anoressia e bulimia: quali sono le differenze?

“La bulimia è sinonimo di voracità, impulsività e desiderio di assumere grandi quantitativi di cibo. Il cibo è infatti lo strumento che combatte un vuoto incolmabile. Astinenza dal cibo e astinenza dal desiderio coincidono nell’anoressia, nella bulimia invece il cibo ha travolto la persona. Il soggetto non riesce a sottrarsi al proprio comportamento patologico: l’abbuffata “anestetizza” dalle forti emozioni.

Gli adolescenti che patiscono disturbi alimentari utilizzano il corpo come strumento con cui raccontare una sofferenza inesprimibile a parole. Altre volte, invece, l’attacco al corpo è l’ultima speranza per essere creduti: rende tangibile ed evidente lo star male”.

Come curare i disturbi alimentari?

“Riconoscere l’esistenza di un disturbo alimentare è il primo passo verso un approccio corretto. Fondamentale poi sarà una presa in carico che prevede una rete integrata di intervento. 

Il percorso più adeguato è quello multidisciplinare, un percorso che include medici, psichiatri, nutrizionisti e psicoterapeuti, così da lavorare sul piano emotivo e psicologico, incluso quello nutrizionale.

Oltre a monitorare il peso corporeo e le abitudini alimentari dell’adolescente, è importante la presa in carico emotiva. Sarà fondamentale il lavoro sull’autostima e sulle vulnerabilità del Sé, per superare angosce e timori legati all’aumento del peso. La psicoterapia è indispensabile per esplorare le cause del disagio interiore e per imparare a gestire i comportamenti disfunzionali.

Da alcuni studi controllati il trattamento di elezione è risultato essere quello che integri la psicoterapia e l’assunzione di farmaci antidepressivi e ansiolitici, ma è stato altresì dimostrato sperimentalmente che i farmaci non hanno efficacia a lungo termine se non accompagnati dal trattamento psicoterapeutico. Separando i due tipi di intervento, psicoterapeutico e farmacologico, è il primo che risulta avere la prognosi nettamente migliore.

Il trattamento può essere somministrato da un singolo terapeuta, se si applicano alcuni trattamenti psicologici ambulatoriali specifici per i disturbi dell’alimentazione evidence-based (come la terapia comportamentale migliorata o CBT-E e la psicoterapia interpersonale o IPT), oppure da terapeuti multipli se è necessario affrontare la presenza di comorbilità associata alla psicopatologia del disturbo dell’alimentazione oppure se il paziente è trattato con modalità intensive di cura, come il trattamento ambulatoriale intensivo, il  day-hospital o il ricovero riabilitativo. 

In ogni caso è opportuno che il paziente, anche se sta seguendo un trattamento psicologico individuale evidence-based, sia visto periodicamente dal case manager o da un altro membro del team per valutare l’andamento del trattamento, la presenza di eventuali comorbilità che richiedono interventi aggiuntivi (per es. nutrizionali, psichiatrici, internistici) e la necessità di implementare trattamenti più intensivi”.

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