Social. Riflessioni dell’artista e scrittore Roberto Bombassei

I social sono solo un potentissimo strumento per qualsiasi cosa. La cosa negativa è che creano una dipendenza immediata e inconsapevole.
Appena accedi sui social, hai già imparato ad utilizzarli e, inconsapevolmente, non riesci più a staccarti. Entri in questo nuovo paradiso terrestre, dove tutti siamo diventati protagonisti , dove mostriamo agli altri moltissimi pregi, pochi difetti, vite perfette. Tutti re e regine. Ma è proprio cosi?
Quello che è abbastanza evidente è che i social hanno tirato fuori in maniera decisa tutti quei sentimenti umani che erano tenuti nascosti. Invidia, gelosia, odio. E , con i sentimenti, i comportamenti aggressivi e violenti. La leggerezza con cui ognuno, commentando dal suo computer, dà la sua coltellata alla vittima , è preoccupante. Il web richiede un alto grado di educazione e di coscienza di sé stessi, cosa che mi sembra non ci sia, o mi sbaglio?

Ognuno è responsabile di sé, si richiede un’autodisciplina, si richiede cultura, si richiede serietà, si richiede rispetto. E pensare che sembrava un gioco… Però una cosa meravigliosa poter comunicare al mondo che tu esisti ed è meraviglioso anche il fatto che è gratis. Gratis? Niente è gratis e quando qualcosa è gratis, la merce sei tu. Una merce, come può essere il porco, che con il suo sacrificio combatte la fame e la miseria. Per chi non lo sapesse, la parola porco è l’anagramma di corpo.
Dal maiale non si butta via niente. Come nei social

“DA…DA…DA…” Presentata a Roma l’opera unica del professor Vincenzo Varone, docente di tecnica della scultura, presso l’Accademia delle Belle Arti di Via Ripetta a Roma.

Singolarissimo, il trentunesimo evento della fortunatissima rassegna d’arte contemporanea “Signum”, progettata e realizzata dal geniale e irripetibile Francesco Gallo Mazzeo, il Professore con la P maiuscola. “Signum” è oramai una formula collaudata, di assoluto valore artistico, puro “teatro intimo” a contatto diretto con l’arte e l’artista;

tutti innanzi ad un “unica opera”, issata sulla parete del centro etnico-culturale “Bibliothè” [1], nel cuore pulsante della città di Roma. Un appuntamento mensile da non perdere, alle soglie della nuova rinascita culturale dell’Urbe, un eruditissimo confronto, fra l’autore, il critico d’arte e “l’occhio terzo”, quello di una “fervida intelligenza” che guarda l’arte, dall’altra parte della siepe, da un mondo apparentemente estraneo agli addetti ai lavori. Un commentatore diverso, appositamente individuato, di volta in volta, fra i molteplici ambiti di professionisti inconsueti,  scrittori, letterati, musicisti,  magistrati o giornalisti. Stasera la voce “terza”, stata quella del dottor Carlo Capria, qualificatissimo dirigente della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dalla solida esperienza internazionale multiculturale. Il copione si è arricchito di sorprese, rivelandosi un viaggio affascinante e carismatico; dalla metrica erudita e, dall’armonico verseggiare composito, del professor Francesco Gallo Mazzeo, all’incontro con la finezza narrativa, della sintesi spirituale e intima di Carlo Capria, sino alla straordinaria energia della reazione emotiva, carica di deflagrante passione, di quell’artista eclettico che è il professore Vincenzo Varone. Bravissimi, Laura Giulia Cirino e Sergio Palma, corèuti speciali, belle voci di “dentro” del melodico sovrapposto al disegno principale, di questa serata singolare, suggestiva e unica.
L’opera “Da.. Da… Da…” richiama alla memoria il Dadaismo e i Dadaisti dei primordi del novecento: “Un’opera d’arte non è mai bella per decreto, Ognuno fa arte alla sua maniera. Noi non conosciamo alcuna teoria. DADA, DADA, DADA, urlio di colori increspati, incontro di tutti i contrari e di tutte le contraddizioni, di ogni motivo grottesco, di ogni incoerenza: LA VITA.“[2]
Varone, oggi, affida alla materia del colore, ambientazioni che interessarono il pianeta dei surrealisti, mette in scena “astratti paesaggi” che risentono delle contaminazioni degli “avvezzi al  sogno” di ogni tempo; delle atmosfere felliniane dei personaggi sbucati dal mondo dei “Lunatici” di Cavazzoni e, da quelle intuizioni geniali della grande letteratura dell’immaginazione che appartennero anche a Shakespeare, di quelle umanissime figure “dell’innamorato, che vede nel volto d’una egiziana la chiara bellezza di Elena, di quella del lunatico, che vede più diavoli che non ne contenga l’inferno; poi ancora di quella del poeta che nel suo squisito delirio, può contemplare il cielo dalla terra e la terra dal cielo. E, mentre la fantasia gli va suggerendo forme di cose sconosciute, la sua penna le ferma; e a quei nulli d’aria dà nome, e sito e dimora. [3]
Varone, muove bene ogni passo, con circospezione e cautela; viaggia piano, incide e crea; nella consapevolezza che se è pur vero che “siamo indotti a tenere a freno la nostra vita emotiva e le nostre risorse naturali“[4], ed è strano destino tenere a freno le pulsazioni dell’Es, l’Es gioca dei tiri magnifici: fa guarire, fa ammalare, costringe ad amputarsi degli arti sani e manda la gente incontro alle fucilate, [5] ma è qui è la ricchezza dell’anima, l’humus fertile della creatività, ed è quì che nascono nettare e vitamine efficaci.
L’artista allora – senza stancarsi mai – persevera nel dissodare queste terre dell’arte, ne irrora ancora i solchi e, dal paniere continua a lanciare il nuovo “seme”.
“Il tempo ci ha consegnato un grande patrimonio immateriale,  Varone, ne ha introiettato filosofie e impulsi e, adesso – attraverso l’opera delle sue mani, astratti paesaggi prendono forma e colore che ri-chiamano alla vista i palpiti segreti dell’anima, per farli ri-affiorare dall’atrio del cuore e, per riportarli alle visibilità della vita”.
“Verranno un giorno pensieri e forme, perfettamente espresse, come
la verità prima che le oscurità e le profondità la coprissero e
riprenderanno, in eterna primavera, con radici profonde di terra
e terra, fronde e fronde, fiori e fiori, imperturbabili come firmamenti”. [6]
R.S. 

[1] Bibliothè Contemporary Art Gallery – Via Celsa, 4 – 00186 Roma
[2] Tristan Tzara sul Dadaismo
[3] William Shakespeare, Sogno di una notte di mezza estate, 1596
[4]  Julie Holland,  Streghe lunatiche, Mondadori, 2016.
[5]  Es: istanza inconscia della personalità, teorizzata da Sigmund
      Freud. Georg Groddeck, Il libro dell’Es, 1923
[6] Francesco Gallo Mazzeo  7/5/2019 per Lillo Messina “Metafora”

Grandi Artisti a Roma.

Di passaggio oggi a Roma il maestro Franco Azzinari, storico ritrattista del Premio Nobel per la letteratura Gabriel Garcia Marquez e dello stesso Fidel Castro, che in questi giorni tra una Ambasciata e l’altra sta preparando il suo nuovo tour artistico, tra Isola di Pasqua e  Amazzonia, “terre lontane- dice il famoso pittore italiano- dove trasferirò di fatto le mie tele e i miei colori.

“Sarà una nuova grande sfida culturale per questo protagonista dell’arte italiana – commenta il funzionario per la promozione e la comunicazione del Ministero della Cultura Rosario Sprovieri (a sinistra nella foto accanto al maestro Azzinari e alla sua assistente), che conosce e segue Azzinari da moltissimi anni – e che alla fine del tour immaginato da Azzinari diventerà un docufilm in cui racconteremo e ricostruiremo queso viaggio di infinite emozioni latinoamericane”.
“In Amazzonia torno per amore- confessa il maestro Azzinari- torno a ritrovare le tribù che in questi anni di peregrinazioni personali ho conosciuto laggiù e ho imparato ad amare, e le cui facce sono ormai tema dominante delle mie ultime tele. Ma dopo l’Amazzonia voglio arrivare in fondo al Cile, sull’Isola di Pasqua, tra le grandi statue che guardano l’Oceano, per provare un esperimento del tutto nuovo nella mia vita. Mi piacerebbe provare a fare questa volta lo scultore, proverò a imitare gli scultori che sull’Isola di Pasqua hanno creato queste stele possenti dalle sembianze africane, e soprattutto voglio poi dare a queste sculture i colori accesi delle mie ginestre e dei miei papaveri. Sento soprattutto che sull’isola di Pasqua io possa davvero ritrovare il vento che un tempo vivevo in Calabria, da bambino, e che agitava i campi attorno allo Ionio dove sono poi cresciuto e da dove sono poi partito per il mondo”. (P.N.)

Al via le riprese del film Lupo Bianco diretto da Tony Gangitano

Nella splendida atmosfera di Santhia il set del film Lupo Bianco per la regia di Tony Gangitano. Un cast straordinario darà vita a una storia avvincente e densa di pathos. Gli ingredienti per un film che appassionerà lo spettatore ci sono tutti: la storia, la sceneggiatura, i luoghi, gli attori, il regista, la troupe e soprattutto le emozioni.   

Finalmente i set hanno ripreso vita, il film “Lupo Bianco” diretto da Tony Gangitano ha preso avvio il 31 maggio a Santhia. Le riprese termineranno intorno al 30 giugno. Il film godrà di location in perfetta sinergia con l’atmosfera del racconto.

La storia si dipana raccontando la vita generosa del filantropo vercellese Carlo Olmo, soprannome del grande benefattore insignito lo scorso ottobre della Onorificenza di Cavaliere “Bianco” al merito della Repubblica Italiana dal Capo dello Stato, Sergio Mattarella. 

La sua esperienza di vita è così intensa che tende una mano alla sfiducia, alla diffidenza, alla rinuncia, alle difficoltà, ai dolori e agli smarrimenti. Lui, con la sua triste esperienza di orfano, ha fatto sì che l’aspetto più fragile della sua esistenza diventasse il suo punto di forza. La vita se da un lato gli ha tolto dall’altra gli ha offerto l’opportunità di riprendersi quel pezzo d’amore mancato. 

Non ci sono state alchimie ma solo la voglia di non arrendersi mai trasformando un limite in risorsa. Una risorsa che si è moltiplicata unendosi a generosità e accoglienza. Tutto prende vita dall’intuizione dell’attore Diego Cammilleri, siciliano, che ha lavorato per anni nella Prefettura di Vercelli, prima di dedicarsi totalmente alla recitazione. 

Durante la pandemia, in uno dei periodi più bui della nostra attuale storia, Carlo Olmo si è prodigato per cercare di aiutare i più deboli, attraverso donazioni significative, in questo difficile cammino di cui ancora stiamo, tutti quanti, portando le ferite. Così questa incredibile storia d’amore e riscatto, di partecipazione e coinvolgimento, di abbracci mancati e ritrovati diventa un film. La sceneggiatura è firmata da Stephanie Beatrice Genova e Alessandro Ferrara, le musiche sono di Serena Rubini, Francesco Cilione, Silva Poy, Marco Giva. Il film si articolerà all’interno di un arco temporale che comprende la vita di Carlo dalla sua nascita (anni 60) ai tempi della pandemia di Covid-19 (2020 annone durante il quale il protagonista interverrà attivamente aiutando la popolazione in difficoltà). È prodotto dalla CinemaSetdi Antonio Chiaramonte, lo stesso ha dichiarato: “Dopo la frenata Covid del 2020 siamo tornati a girare in Italia. Abbiamo una serie di produzioni da realizzare entro il 2023 grazie alla società cinematografica CinemaSet, ben sette opere (…)”. La scelta del cast è stata impegnativa, con 40 attori accuratamente selezionati, troviamo: Sebastiano Somma, Remo Girone, Morgana Forcella, Guia Jelo, Shi Yang Shi, Francesca Rettondini, Rosario Petix, Vincent Riotta, Gaetano Aronica, Antonio Lubrano Diego Cammilleri e molti altri ancora. In questo lavoro realtà e finzione si fondono creando una sinfonia perfetta che catturerà lo spettatore portandolo all’interno della narrazione.

L’ottuso, non è solo un angolo ma virus destabilizzante

Possiamo azzardare che oggi, l’arretramento civile e il conseguente scompaginamento sociale, sono il prodotto del “sordido lavoro” della moltitudine di “ottusi”, di ogni ordine e grado; dovuta all’azione lenta e continua di chi ogni giorno ordisce trame infettate, iniettando un “virus” purulento, fra le maglie vitali di questa nostra “nuova Babele”.

Quanti poi, dalle proprie postazioni, restano ad assistere da spettatori impotenti, alla smobilitazione di ogni regola, alla scomparsa graduale della cultura della civiltà, di ogni regola democratica e, al tracollo finale della “ex società civile”… ad oggi, non è dato conoscere.
Ottuso, viene dal latino obtundere (ob = contro, tundere = colpire, percuotere), significa smussare, ovvero togliere angoli e spigoli, Ottuso è dunque, ciò che è stato reso – o è proprio nato – “piatto e privo di acume”. In nessun ambito si registrano eccezioni, attualmente, pubblico e privato, sono in balìa dell’Ottuso. Paradossale, ma pericolosa è questa condizione, da valutare con estrema attenzione, perché “si può vivere nel paese più democratico della terra, ma se si è interiormente pigri, ottusi, servili, non si è liberi”, come Ignazio Silone fa dire a Pietro, nelle pagine del suo celebre racconto “Vino e pane”. Ricordo bene che, nella Pubblica Amministrazione, erano basilari, le consolidate procedure legate al momento dell’assunzione – le cosiddette “promesse solenni” – e i successivi “giuramenti” “(Art. 11. Del DPR 10/1/’957).
La chiamata a “svolgere un servizio” per la Comunità, aveva inizio con due “cerimonie” significative, la prima all’atto dell’assunzione, la seconda, sei mesi dopo al termine del cosiddetto “periodo di prova”. Prima di assumere regolare servizio, il neo-assunto, era chiamato e davanti al capo dell’ufficio, in presenza di due testimoni, alla presenza dei quali, egli doveva proferire prima la “solenne promessa e, subito dopo il “giuramento, ripetendo a distanza di sei mesi: “Prometto di essere fedele alla Repubblica, di osservare lealmente la Costituzione e le leggi dello Stato, di adempiere  ai  doveri  del  mio  ufficio nell’interesse dell’amministrazione per il pubblico bene”. Era un atto di straordinaria importanza che, in caso di rifiuto, comportava la “decadenza dall’impiego”. In quelle sottolineature codificate, lo Stato ribadiva i punti cardine che sarebbero stati alla base del lavoro futuro dell’impiegato: la fedeltà alla Repubblica, alla Costituzione, alle leggi, ai propri doveri e alla “mission” che bisognava, necessariamente, portare avanti insieme al “capo” o al datore di lavoro; tutto ciò in funzione del “bene della Comunità”, che risultava il “fine superiore”. L’obbligo di fedeltà poi, per i lavoratori pubblici e privati, è sancito dall’art. 2105 codice civile; con l’obbligo di segretezza, con la responsabilità e la salvaguardia del “know how” e, il vincolo di non creare situazioni di conflitto e di concorrenza, né verso il capo o il datore di lavoro, né verso l’impresa; secondo le nostre leggi, infatti, sono da scongiurare quegli atti, che possono ledere il vincolo fiduciario del rapporto di lavoro stesso. Queste consuetudini e le azioni formali, sono oggi completamente in disuso, cadute nel dimenticatoio, anche se, dobbiamo riconoscere che quanto è avvenuto non è stato senza “qualche responsabilità” della classe dirigente. Forse una nutrita schiera di “ottusi” di alto cabotaggio, non è riuscita e non riesce tutt’ora, a intravvedere ciò che si celava in quegli atti e, il “tesoro” contenuto in quelle formule. In quella frase c’erano gli “argini” naturali, forniti dallo Stato “alla coscienza individuale di ciascun lavoratore”, c’era l’indirizzo preciso per l’opera e l’azione futura, la “credenza” personale dove era ben custodita la responsabilità di ognuno, la “dispensa” ove albergavano i principi del “bene comune, il bene di tutti”. Crollati gli argini, l’Ottuso si è impadronito del governo della cosa pubblica e, anche di tanta parte del lavoro privato. L’Ottuso, in questo tempo, in connivenza o senza controllo, si è reso protagonista, si è meglio specializzato, adesso riesce persino a mutare la pelle, si mimetizza, s’adatta e si gonfia. Non è più solamente il soggetto privo di acume, d’ingegno e di perspicacia ma, camaleonticamente, è anche quello capace di sovvertire e variare alla bisogna, l’ordine d’importanza d’ogni regola e d’ogni legge. Una caterva d’indolenti, pedissequamente, “fa” solo quello che viene loro comandato, a volte anche, ben sapendo di non fare né “cosa giusta”, né “cosa retta”! Troppo spesso asseconda, anche nei rari casi di palesi reati, senza mai sentirsi coinvolto, senza mai considerare che, come dice l’adagio popolare: non è solo ladro chi ruba, ma anche chi gli tiene il sacco! Tanti altri si auto-proclamano “paladini della norma” e, sbandierano e interpretano arie meglio di Pavarotti, adattano e piegano norme e regole a proprio piacimento, infischiandosene del prossimo, precludendo da ogni utilità umana comune e, da ogni lapalissiano buon senso. Tanti altri ancora ci speculano sopra, cercando, ad ogni costo, profitto da ogni situazione. Bubboni di una società “malata”, garantiti all’apice, da un mondo di “soggetti” piccoli, poco responsabili nell’adempiere ai compiti loro demandati dalla stessa società civile.
E’ cosi, in genere, fra il lavoratore onesto e responsabile e, il “traffichino” capace di ogni nefandezza, di ogni intrallazzo in barba al prossimo, è al secondo che, vanno le attenzioni degli “ottusi al vertice” della piramide della responsabilità. L’insolvenza per gli obblighi verso lo Stato, la Costituzione le leggi e la Comunità, trova le giuste saldature e le migliori sinergie fra quella parte della classe preposta al comando, a volte impreparata, opportunista, onnivora, tuttologa e l’ottuso “scelto”; che, grazie alle favorevoli circostanze, prova non solo a inventarsi scaltro e, a curare il proprio tornaconto, ma anche a destabilizzare la stessa convivenza civile della nazione. I diritti dei più, vengono ogni giorno sistematicamente oltraggiati, negati, sottratti e ritardati, proprio per continuare a garantire il giro illecito degli oboli da estorcere da ogni legittima necessità. Ha ancora un vantaggio l’ottuso, con l’evoluzione delle procedure informatiche, grazie all’avvento del tempo dei Pin, dei Spid dei Puk, dei Red, delle password, che ha quasi cancellato il contatto umano; l’ottuso trova terreno fertile da una tastiera da remoto, in assoluto anonimato, allontana i diritti via Pec, via mail e li fa scomparire del tutto. Si dice poi, che più di qualcuno, neanche le apra le Pec! …perché aprendole né diventerebbe il responsabile! …poi c’è ancora un forte antidoto che neutralizza le Pec! Quello affidato ad un messaggino che ci dice che la posta non può essere così carica (allora l’utente fa più invii e diminuisce gli allegati) per poi, dopo qualche mese, facendo protesta di persona, ti spiegano, dopo aver chiesto e indagato da quale Pec avevi inviato le richieste (!), che: “di giungere è giunta, ma con un solo allegato!” L’utente è colpito, senza difesa, affondato, morto! L’ottuso continua a viaggiare bene, in questo tempo di lobbies, di confraternite, di corporazioni auto-garantite per affinità sessuale e, non “cade” mai, perché sprofondare non può, raschiando egli il fondo del baratro, già da qualche lustro.  

R.S

“Specchietti per merli e allodole”. La ripresa dell’Italia, passa, ancora una volta per il mondo dei furbi di antica memoria.

Historia magistra vita.Historia vero testis temporum,lux veritatis,vita memoriae,magistra vitae,nuntia vetustatis – di Ciceroniana memoria -.«La storia è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra della vita, messaggera dell’antichità»Dalla storia dovremmo trarre suggerimento, attingendo alle esperienze dei momenti delle più grandi sofferenze che l’umanità ha attraversato,per trarne conseguenzialmente i comportamenti più idonei per venirne fuori. La pandemia nell’ultimo biennio ha messo in ginocchio il mondo e, i suoi effetti non sono ancora scongiurati – come ha sostenuto il presidente dell’Istat Blangiardo – alla fine del 2020 “verrà superato il confine dei 700mila morti complessivi”, il numero più alto di decessi mai registrato, anche considerando gli anni più cruenti (1944) del secondo conflitto mondiale.

Alla fine il Covid-19 avrà mietuto più vittime della guerra. Gli effetti – sulla vita della comunità di questa seconda decade degli anni 2000, sono completamente simili al primo periodo della ricostruzione post-bellica: economia da riavviare, produzione da riprendere, ri-pensare in grande il “nuovo progetto Italia” e intraprendere con serietà ogni azione idonea per continuare a dare vita alla comunità creativa del popolo dello stivale e concretezza al loro talento; per assicurare continuità credibile e futuro radioso al nostro straordinario patrimonio demoetnoantropologico, storico e artistico. In realtà, però oggi, pur disponendo di sofisticatissime evolute tecnologie, di strumenti d’avanguardia e di esperienze di grande spessore; dobbiamo sottolineare che – al contrario del dopoguerra – quando scattò quella molla invisibile della solidarietà e del sostegno reciproco per le imprese da compiere, che andava al di là della condizione sociale e politica; oggi questo non è per niente percepibile, né si scorgono segnali di unità e di rispetto reciproco. La politica – senza leader credibili – persegue nel dare il peggio di se stessa, non attribuendo responsabilità a “uomini” che hanno già dato un segno, altruista e capace, del loro attaccamento alla comunità; ma persevera spudoratamente nell’indicazione di dilettanti allo sbaraglio, di lobbisti, di caste e di gruppi di affini per sesso, che – dal nulla – compaiono come gli avvoltoi all’approssimarsi di ogni consultazione. Miseri omuncoli senza storia che cercano solo di utilizzare “i binari della politica” per proprio profitto, senza avere alcun progetto in testa, ma solo pronti e lesti per poter spendere i “soldi dei bilanci delegati” e a rastrellare qualche “briciola caduta”. Basta dare una occhiata alle candidature proposte per i Municipi di Roma, per avere una idea concreta dei “Cetto La Qualunque” ai quali andremo ad affidare le sorti del potere locale più vicino e più necessario al popolo – anche se qui sono in gioco, le sorti della Capitale d’Italia, della millenaria storia dell’Urbe. L’emergenza ha poi allontanato, ancora di più, la Pubblica Amministrazione dalla società e dalla umanità contemporanea. Nel momento più grave di questa anomala crisi socio-relazionale, lo smart working ha amplificato – in larga parte – la latitanza, l’anonimato, il menefreghismo e la non condivisione delle necessità del popolo. Non è messo meglio il settore privato, gli affari miliardari delle aziende private per la salute hanno incrementato non solo i guadagni ma – e soprattutto – hanno amplificato avidità e protervia e, la sfacciata speculazione sulla salute pubblica. Adesso – durante questo nostro tempo comune – c’è una escalation di “imprenditori” capaci… di tirar fuori decine di conigli dal cilindro del cappello a tuba, meglio del mago Silvan. “Specchietto per allodole e merli” sono il leitmotiv di tanti nuovi negozi. Allestimento griffato …magari dal Cugino di “Arvaro” o di “Versacce ‘n’antro litro”, come proferisce da tempo il “volgo di Roma”; bellissimi solo all’apparenza, in realtà centrali di disservizi e grandi cafonate di spessore considerevole. Molte attività possiedono solo quello che hanno in mostra e, speculando su quello che l’incauto acquirente non può conoscere, vendono cose che non possiedono! Previo anticipato pagamento ordinano direttamente alle fabbriche – i piazzisti – sono i novelli capitalisti da strapazzo, quelli che hanno individuato aziende convenienti (per loro) nel Burundi, in Oceania o nella striscia Temperata Equatoriale. All’acquirente è proposto un formale contrattino con tanto di date di consegna del materiale acquistato e di penali, che verranno puntualmente disattese. Molte volte una schiera di addetti, schierati tutti in doppio petto – come i croupier dei grandi casinò – qualificati come professionisti del settore, si rivelano tecnici che non riescono a non azzeccare neanche il calcolo di base per altezza, facendoci rimpiangere il meno colto degli operai della tradizione edile italiana. Gli “imprenditori dei nostri soldi” però, dinanzi ad ogni disservizio e a ogni inadempienza, sanno bene a chi attribuire colpe e responsabilità. La mortificazione del cliente è assicurata e costante. C’è da non fidarsi, da rimarcare punto per punto ogni accordo e se è possibile registrare ogni colloquio. E’ sempre difficile difendersi dai “furbi”, oggi a maggior ragione, proprio per il bene “comune” e per una “ricostruzione” efficace e ben fatta, non vorremmo ri-assistere ancora passivamente, ai brindisi goderecci di quella classe di delinquenti-affaristi-mazzettari che, stappavano Champagne – per festeggiare l’arrivo dei soldi – mentre ancora il terremoto dissestava le terre d’Abruzzo. Se questo invece – nella malaugurata ipotesi, dovesse perpetuarsi ancora: addio Italia, addio ripresa, addio solidarietà, addio Futuro ! …l’ultimo invito sarebbe quello di astenersi dal commentare la fuga dei nostri giovani, verso terre e nazioni dove il “virus” della furberia, della sopraffazione, del menefreghismo e del salvo io salvo tutti, ancora non si è impadronito del cuore degli uomini.

R.S