«Tribunale di Velletri e il silenzio degli innocenti (ma davvero sono innocenti?): cronaca di un’assurdità giudiziaria»

Il tribunale di Velletri

di Lorena Fantauzzi
Chi ha paura della verità? Chi ha il coraggio di chiamare le cose con il loro nome, senza nascondersi dietro un cavillo, un protocollo, una circolare ministeriale o, peggio, dietro la maschera consunta dell’omertà istituzionale? Ebbene, accade – ed è accaduto – nel cuore dello Stato che processa, che condanna, che notifica sfratti e pignoramenti, che impugna la spada della giustizia in nome del popolo italiano. Accade a Velletri, dove la giustizia, quella vera, ha smesso di suonare la sua tromba per inchinarsi al realismo opaco dell’abitudine e della connivenza.
Gli ufficiali giudiziari, questi arcigni funzionari dell’UNEP, sono figure chiave. Non mere comparse del palcoscenico processuale. Sono gli esecutori materiali del potere dello Stato. Certificano, notificano, pignorano, sfrattano. Sono i “bracci armati” della giustizia civile, pubblici ufficiali, come sancisce l’art. 357 c.p. E in quanto tali, la legge li vuole intoccabili, specchiati, fedeli allo Stato. Ma se proprio loro tradiscono quello Stato? Se ne abusano, lo svendono per una manciata di monete, per convenienze personali o per proteggere gli amici? Chi vigila? Chi interviene?
La Guardia di Finanza di Velletri coordinata dal Sostituto Procuratore della Repubblica dott. Ambrogio Cassiani, ha aperto il vaso di Pandora. Ha indagato, raccolto riscontri oggettivi, formulato imputazioni. Peculato. Favoreggiamento. False informazioni al pubblico ministero. Non robetta da circolo bocciofilo. Reati gravi, reati che parlano di denaro pubblico gestito opacamente, di protezione indebita, di ostacolo all’accertamento della verità. Reati che, se accertati, non solo macchiano l’individuo, ma infangano la toga invisibile che ogni servitore della giustizia dovrebbe indossare con onore.
E cosa fa l’amministrazione del Tribunale di Velletri? Una sola sospensione cautelare. Una. Solo un dirigente è stato sospeso, pur con gravi riscontri oggettivi. Ma il peggio viene ora: a sostituirlo, come vicario, è stato incaricato un ufficiale giudiziario imputato di altrettanti gravi reati.
Avete capito bene: imputato per peculato, favoreggiamento e false dichiarazioni, eppure premiato con un incarico di responsabilità. È come mettere a dirigere una banca uno che è sotto processo per rapina a mano armata. E nessuno, nessuno al Ministero della Giustizia sembra battere ciglio.
Ma perché? Perché questo silenzio? Perché questo sonno delle coscienze?
La risposta è nella cultura della minimizzazione, dell’attesa passiva, del “vedremo cosa dirà il giudice”. Eppure, il d.lgs. 165/2001 – che regola il pubblico impiego – non obbliga affatto ad aspettare una sentenza. L’amministrazione può agire subito, con prudenza ma anche con fermezza. Può sospendere cautelarmente chi è imputato di reati che intaccano il cuore stesso della funzione pubblica: la fedeltà allo Stato, la trasparenza, il rispetto della legge.
E la giurisprudenza amministrativa, TAR, Consiglio di Stato, Tribunali ordinari, lo ha detto e ripetuto: la sospensione è legittima anche prima della condanna, quando il sospetto è suffragato da atti, da riscontri, da fatti che urlano nel silenzio dei corridoi giudiziari.
Due sentenze della Corte di Cassazione (Sez. Unite n. 16895/2006 e Sez. Lavoro n. 21032/2006) hanno già scolpito nella pietra che gli ufficiali giudiziari sono impiegati civili dello Stato, inquadrati nel ruolo unico, soggetti a responsabilità disciplinare, vigilanza gerarchica e obblighi di onore e imparzialità. E allora perché nessuno agisce? Perché si lascia che un imputato per peculato guidi un ufficio in cui si maneggia denaro, si custodisce fiducia, si esercita autorità?
Io non ho la risposta. Ma ho una convinzione: la giustizia si difende con i fatti, non con gli slogan. E i fatti, a Velletri, sono questi: imputazioni gravi, un solo sospeso, e un imputato premiato con un incarico di vertice.
Se la giustizia non è capace di difendere sé stessa, chi difenderà i cittadini da questa giustizia?
Chi tace, acconsente. Ma chi scrive, chi denuncia, chi indigna, magari accende una luce nella notte lunga delle Istituzioni addormentate.

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