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Erano le 10.25 di sabato 2 agosto 1980, nella stazione
ferroviaria di Bologna Centrale, si udì un boato che scaraventò la città, nel
dolore e nella disperazione. In pochi attimi, la vita di 85 persone venne
cancellata dalla faccia della terra, senza saperne il motivo. Oltre 200
rimasero ferite, traumatizzate, deturpate. Dai primi accertamenti effettuati
dalle forze dell’ordine, con la conseguente presa di posizione del Governo
italiano (presieduto dall’ora Presidente Francesco Cossiga), fu quella di un
“incidente” dovuto all’esplosione di una datata caldaia situata nei sotterranei
della stazione stessa. Considerato e identificato in un secondo momento, come un
attentato attuato da quella “strategia della tensione”, caratteristica degli
anni di piombo, di matrice neofascista. Depistaggi avvenuti nell’immediato, permisero
agli esecutori e ai mandanti dell’attentato, di far perdere le proprie tracce.
Il 28 agosto del 1980, la Procura di Bologna emise circa 80 ordini di cattura,
nei confronti dei maggiori esponenti dei: Movimento Rivoluzionario Popolare, di
Terza Posizione e dei Nuclei Armati Rivoluzionari: successivamente scarcerati
un anno dopo. Un grande lavoro quello della Digos e della procura; tra piste
libiche, false informazioni e notizie inattendibili. “L’ Associazione tra i
familiari delle vittime della strage di Bologna del 2 agosto 1980”, il cui
Presidente “Paolo Bolognesi”, ha sempre sostenuto che tra esecutori e mandanti
e piste straniere, non ci fosse alcuna correlazione. I mandanti per Bolognesi,
sarebbero stati italiani legati alle “istituzioni”. Per arrivare ad una
condanna definitiva, si dovrà giungere al 23 novembre 1995.Pietro Musumeci e
Giuseppe Belmonte, ufficiali del servizio segreto militare, Licio Gelli (ex
capo della P2), Francesco Pazienza (ex agente del SISMI), furono condannati
tutti per depistaggio alle indagini. Valerio Fioravanti e Francesca Mambro
(neofascisti dei NAR), -dichiaratesi sempre innocenti-, furono condannati
all’ergastolo, quali esecutori della strage. Nel 2020 la Procura generale di
Bologna è riuscita ad identificare definitivamente, organizzatori, finanziatori
ed esecutori di una delle stragi più imponenti, del nostro paese. Le vittime, i
parenti delle stesse, i feriti e l’Italia intera che chiede verità, però, non sono
riusciti a vedere ancora volta giustizia; infatti, la morte di taluni degli
imputati, hanno reso il termine “giustizia”, un appellativo fatto di depistaggi
in un iter giudiziario complesso e a tratti ancora irrisolto.
I Gadjos superano sé stessi, alzando ulteriormente l’asticella e i volumi dei propri strumenti.
Il 28 luglio scorso la band pugliese, fondata a Barletta (BT), ha lanciato il nuovo singolo “La Bestia”, disponibile su tutte le piattaforme digitali. Una vera e propria “sfida rock” al panorama musicale pugliese, e non solo. Il gruppo, composto da Luca Raguseo, 38enne di Barletta, voce e fondatore del gruppo, Bianca Lovero, 34enne di Ruvo di Puglia, chitarrista, Giuseppe Inchingolo, 30enne di Andria, bassista e Vito Nicola Lacerenza, 34 anni, anche lui barlettano, batterista, ha realizzato un pezzo il cui DNA rock non è solo nelle note, ma anche nel testo. “La bestia” denuncia le differenze sociali, la poca attenzione alla cultura, la meritocrazia che vacilla davanti a chi usa scorciatoie per fare carriera. Il brano è un urlo di disapprovazione e, allo stesso tempo, voglia viscerale di dire le cose come stanno, senza alcun timore. «La bestia fotografa perfettamente lo spaccato del nostro paese e il suo grande male: L’ignoranza – ha detto il frontman Luca -. Fa comodo soggiogare le persone quando esse sono prive di conoscenza e informazione, sotto ogni punto di vista, sociale, politico, e culturale. Se la gente capisse il proprio potenziale sarebbe un ottimo punto di partenza per risollevare le sorti di una nazione avvelenata da troppa cattiveria». «Sono orgoglioso ed entusiasta del lavoro svolto in “La Bestia” – ha aggiunto Vito Nicola -. Ho voluto realizzare il brano dando sfogo al mio lato più ferino ed animalesco, cogliendo l’occasione per richiamare ed omaggiare, nella traccia di batteria, grandi pietre miliari della musica rock: chissà, magari anche “La Bestia”, un giorno, farà parte dei grandi pezzi della storia di questo meraviglioso genere e noi Gadjos stiamo lavorando affinché questo accada». «“La Bestia” è la personificazione di un sentimento di insofferenza nei confronti di alcuni aspetti negativi della nostra società – hanno sottolineato Giuseppe e Bianca -. L’ignoranza, la mercificazione della cultura, il clientelismo e le raccomandazioni sono sintomi di un malessere diffuso che ci fa rabbia e ci ispira ad alzare la voce per provare a stimolare la coscienza collettiva. Con questo però non vogliamo assolutamente fare convogliare questa rabbia in violenza, tutt’altro: la musica, le arti in generale, l’istruzione e la cultura sono una via di uscita virtuosa che possono risollevare le sorti della nostra comunità. Di cattivissimo, in questo brano, c’è solo il sound rock che fa vibrare il palco». Il singolo lanciato dalla band è la sintesi di un percorso di maturazione che nell’ultimo anno ha trovato nuovo slancio grazie a diversi e importanti traguardi raggiunti da Gadjos. Tutto è cominciato con la finale di Sanremo Rock 2022, un sogno solo accarezzato ma che ha donato grande consapevolezza ai quattro “ragazzacci” del Nordbarese. “La Bestia” punta a far breccia nell’ascolto spesso distratto delle persone, colpire dove fa male, come le verità celate o volutamente ignorate per non guardare in faccia la realtà. Un pezzo che quindi richiama il vero senso della musica rock, note forti e denuncia della società, ma senza incitare la violenza. Semplicemente evocare una nuova consapevolezza sociale. Ecco il link per ascoltare e guardare il videoclip “La Bestia” dei Gadjos: https://www.youtube.com/watch?v=1DndmvTekY4
L’estate rappresenta il periodo della rinascita, la stagione migliore per tornare ad uscire, incontrarsi con amici, conoscere nuove persone e luoghi diversi dal quotidiano alla ricerca delle bellezze paesaggistiche, delle ricchezze territoriali, dei prodotti alimentari naturali e delle tradizioni. I territori più piccoli, non distanti dalle grandi città, immersi nel verde incontaminato, circondati da ricche terre, incastonati da preziosi tesori artistici, dalle tracce del passaggio di antiche culture, possiedono delle bellezze che, durante l’estate, si esprimono al meglio; feste di piazza, sfilate di moda, musica all’aperto e soprattutto tante sagre, in cui le piccole aziende possono così, esprimersi al meglio, mostrando ai turisti le fatiche del proprio lavoro. Se siete alla ricerca di serate spensierate, cibo genuino e luoghi a poca distanza dalla Capitale, vi segnaliamo la quinta edizione della “Sagra della Carne alla brace”. Agli Altipiani di Arcinazzo, località montana a poco più di un’ora da Roma, abbiamo individuato un evento suddiviso in 3 serate; il 5,12 e 18 agosto2023, in Piazza Suria. La valorizzazione dei territori, la bontà dei prodotti tipici e biologici a Km 0, derivanti da pascoli che si nutrono solo ed esclusivamente con le numerose erbe del luogo, conferendo così agli animali, numerose proprietà organolettiche, faranno il resto. Per i piccoli paesi e soprattutto per le aziende che impegnano tutte le proprie energie (sia fisiche che economiche), per cercare di portare avanti con continuità, serietà e professionalità il proprio lavoro, il periodo estivo degli eventi è come un trampolino di ri-lancio, per proporre attraverso queste serate, i propri prodotti, unendo il tutto, ad un contesto gioioso e spensierato. Non solo carne alla brace, ma anche la possibilità di assaggiare i formaggi del luogo provenienti da pascoli allevati in maniera sana. Queste terre così ricche, unite all’ingegno dell’uomo, danno grandi soddisfazioni (senza non poca fatica). Allontanarsi dagli impegni e dai problemi, dai ritmi frenetici a cui siamo sempre sottoposti, incontrando realtà diverse, ci farà gustare al meglio il ritorno alle origini e ai cibi privi di conservanti, additivi, pesticidi e altre sostanze chimiche aggiunte, senza processi di trasformazione alcuna, se non quelli che la natura sapientemente offre.
Aumenta la confusione nel dibattito pubblico. I cittadini sempre pi disorientati
“Seguendo una trasmissione televisiva domenica 30 luglio, abbiamo appreso che nell’estate del 1974 in California fu registrata una temperatura oscillante tra i 40 e i 43 gradi e parliamo di 49 anni fa”. Lo dichiara il presidente di AssoTutela Michel Emi Maritato che aggiunge: “Ma non si trattava del picco massimo, essendo stato lo stesso, registrato sia nel 1870 che nel 1938 con 44 gradi, sempre nella stessa località. Ė evidente che il riscaldamento climatico di cui tanto si parla, è iniziato molti, molti anni fa e nessuno ci ha avvertito. I cittadini vorrebbero un po’ di chiarezza perché questi sono temi che attengono alla quotidianità, alla vita, alle abitudini di ciascuno di noi e servirebbe la massima trasparenza. Non vorremmo – continua Maritato – che dietro agli schieramenti dei guelfi e dei ghibellini, si nascondano interessi impronunciabili di cui farebbero le spese principalmente i cittadini. Serve una politica di verità, anche perché dietro i paventati pericoli climatici, potrebbero nascondersi precise speculazioni sui prezzi. Specie quelli alimentari sono fuori controllo e il governo non prende nessun provvedimento per restituire un po’ di serenità ai cittadini”, chiosa il presidente.
Terracina si trova a meno di 2 ore da Roma, nella parte sud della provincia di Latina. Luogo circondato da miti/riti, spiagge ed eventi caratteristici. Il 30 luglio alle ore 21.30, in Piazza Garibaldi, si terrà il “Gran Galà della moda”, Fashion Street, per la presentazione delle nuove tendenze di abbigliamento, per l’autunno 2023, inverno 2024. Grazie al nostro modello di riferimento John D’Ambrosio, abbiamo la possibilità di vedere in anteprima l’organizzazione dell’evento e di avere qualche novità sui capi che verranno proposti. C’è un gran fermento attorno al luogo del galà, modelli e modelle si alternano per le prove. Molti di loro, hanno iniziato in tenera età, altri lo fanno non come professione. John D’Ambrosio, che percepiamo essere un ragazzo timido, silenzioso ma molto deciso, è un professionista del settore moda e come tutti i sognatori ha mille battaglie da affrontare per realizzare i propri obiettivi, contro tutti e tutto, per raggiungere un sogno che ormai sembra essere una concreta realtà. Per sfilare ci vuole studio, portamento, fisicità, sacrificio e consapevolezza di essere in un mondo, lavorativamente parlando spietato, come solo quella della moda sa essere. “Bisogna non cedere a compromessi o scegliere scorciatoie ed essere sempre fedeli alle proprie idee”, ci confessa John. La sera del Gran Galà il modello professionista d’alta moda, sfilerà per un importante atelier di abiti per cerimonie. Le passerelle iniziano già ad essere adornate da mille luci, fiori e l’ambiente è dinamico, le prove continue. Gli organizzatori ci tengono al raggiungimento di alti livelli, per offrire agli spettatori, una serata eccezionale. John, che differenze hai trovato nelle sfilate “di alta moda” e in quelle di piazza? “Sicuramente nelle prime ci sono pochi contatti tra organizzatori e modelli, l’impatto è più grande perché le sfilate avvengono in luoghi maestosi, con scenografie spettacolari e gli abiti che indossiamo noi modelli, sono realizzati solo ed esclusivamente per noi. A livello umano, sicuramente quelle in piazza sono più belle, più spontanee, ma sempre con grande professionalità e rispetto per tutti. E’ apprezzabile lo sforzo che viene fatto dagli organizzatori e dai commercianti, per dare vita a questi eventi, poiché possono contare maggiormente sui loro sforzi e sacrifici. Per me, sfilare in abito da sposo il 30 luglio, sarà un grande onore e almeno anche mia madre sarà felice di vedermi realizzato. Nella vita ho dovuto sempre lottare per dimostrare a me stesso e poi a tutti gli altri (famiglia compresa), che sarei riuscito a dominare le passerelle dell’alta moda”. Come possiamo definire l’eleganza, per i capi che verranno proposti per i prossimi mesi? “Essere padroni di se stessi, per me già è sinonimo di eleganza. Bisogna essere in grado di esprimersi senza sfociare nella volgarità. I grandi marchi, spesso, propongono capi poco indossabili nella quotidianità, ma di grande effetto per le sfilate. Dare una definizione al termine “eleganza”, secondo me, resta molto relativo e soggettivo. Sicuramente si tratta di una dote innata, al di là di ciò che si indossa. Per il prossimo autunno ad esempio, troveremo degli accessori, come le cinture, che vengono proposte in ogni maniera e grandezza, sia per uomo che per donna. I colori più proposti saranno il marrone, rosso, arancione, grigio e il rosa per tutti. Un grande ritorno saranno le spalline imbottite che a me personalmente, non piacciono molto”. Ritieni che la moda vada incontro alle reali esigenze delle persone, o si interfacci invece, solo per pochi? “Per me l’alta moda è un mondo dalle mille sfaccettature, che rendono unico l’individuo esaltando le peculiarità di ognuno di noi, senza portare il tutto all’esasperazione o all’eccesso però. Un linguaggio universale che lo stilista realizza, attraverso i capi proposti, come un pittore, compone, elabora e realizza attraverso colori e tessuti ricercati, poi sta a noi rendere i capi unici con il nostro essere, con la nostra personalità”. Secondo te, John quali capi verranno proposti il 30 luglio a Terracina? “Sicuramente faranno da padrone l’eleganza, il buon gusto nello scegliere abiti che possano rappresentare le reali necessità dei singoli individui. Capi non solo di abbigliamento, ma anche accessori. Per chi si aspetta un abbigliamento noioso, si ricrederà. Ci saranno capi spalla dai tessuti innovativi e da tagli irregolari e dai dettagli più ricercati e minuziosi”.
La scuola italiana, troppo spesso viene presa di mira e molto poco valorizzata, nei progetti che vengono attuati nel nostro paese. Quando una grande Organizzazione internazionale indipendente, come Save The Children (nata nel 1919 che lotta per migliorare la vita dei bambini, in ben 120 paesi), sorprende il panorama scolastico con un progetto innovativo, i dirigenti scolastici non possono tirarsi indietro. E’ il caso, dell’Istituto Comprensivo di Scuola Infanzia Primaria e Secondaria di 1° grado “Falcone e Borsellino” di Roma, la cui dirigente scolastica, la Dott.ssa Rosalba Tomassi ha accettato con grande entusiasmo, un programma biennale che vede coinvolte le scuole medie. Abbiamo intervistato, la Vicepreside, Dott.ssa Giulia Rossetti, le Professoresse: Gemma Settembrini, Francesca Molinetti e Annalisa Ventura, la referente per Save the Children, la Dott.ssa Sara Curci. Professoressa Ventura, com’è nato il progetto “Connessioni digitali”, tra l’Istituto Falcone e Borsellino e Save the Children? “Il Progetto è nato a seguito di una prima collaborazione, con Save the Children, riguardante la robotica (2021), per cui una volta che è stata proposta questa seconda opportunità -che abbiamo colto nell’immediato-, non potevamo che sentirci onorati di tale continuità nella collaborazione. Il percorso avrà una durata di 2 anni ed è partito a settembre 2022”. Dott.ssa Curci, possiamo avere maggiori informazioni riguardo a “connessioni digitali?” “Intanto dobbiamo dire che si tratta di un progetto pilota sperimentale, esistente dallo scorso anno, supportato anche dal contributo del Crédit Agricole, realizzato per le scuole dalla cooperativa Edi Onlus e dal Cremit (Centro di Ricerca sull’educazione ai Media, all’innovazione e alla Tecnologia), che si è occupato di tutta la formazione (parte scientifica). Questo progetto ha coinvolto nel 2022 ben 100 scuole (solo le seconde medie per la prima fase e le terze medie, nella fase conclusiva alla fine del biennio), in 17 regioni sparse su tutto il territorio nazionale. Il fine del progetto è contrastare la povertà educativa digitale. Da una parte, quindi, punteremo a potenziare le capacità dei ragazzi sull’utilizzo e le competenze digitali in stretta connessione con i temi trattati in Educazione Civica, in promozione ai diritti degli adolescenti, prendendo in considerazione principalmente i tre assi ministeriali della materia in questione: “lo studio della Costituzione, sviluppo sostenibile e cittadinanza digitale”. Professoressa Rossetti, come si è sviluppato il progetto? “Ogni scuola ha dovuto scegliere di portare avanti tale progetto, solo per tre classi. L’Istituto Falcone e Borsellino ha sei II medie. Ci sembrava un peccato non dare l’opportunità anche alle altre restanti per cui, formalmente, hanno aderito 3 sezioni, ma abbiamo messo a disposizione anche alle altre restanti, tutti gli strumenti e la formazione di noi docenti, unita a quella degli altri alunni aderenti “ufficialmente” a “connessioni digitali”, per non far perdere a nessuno, un’occasione così importante. La sesta classe, in default, doveva essere di “controllo”, al fine di analizzare i dati del progetto a grande scala, per identificare alla fine dei due anni, il grado del livello dell’acquisizione delle competenze raggiunte, in ambito digitale. Capacità che vengono rilevate, per mezzo dii questionari periodici, attraverso i quali si ha un metodo di paragone, nei confronti delle classi che hanno o meno partecipato al progetto. La responsabilità e la riuscita, dipende anche e soprattutto da noi insegnanti incaricati; acquisire competenze e divulgarle è il nostro ruolo”. Dopo mesi e mesi di lavoro, siete riusciti a presentare, nella “settimana della legalità”, una parte delle competenze digitali raggiunte, attraverso la realizzazione di un progetto molto importante. Professoressa Molinetti, ce ne vuole parlare? “Nell’occasione della settimana della legalità, avvenuta il 23 maggio di quest’anno, i ragazzi hanno presentato un podcast interamente elaborato da loro. L’idea è nata a seguito della grande opportunità che hanno avuto, di conoscere l’unica superstite, di una famiglia vittima della mafia. Assieme alla collega, la Professoressa Di Leo -che aveva lanciato un input per realizzare un elaborato del genere ai ragazzi-, abbiamo creato un elaborato dai contenuti molto importanti. Si sono uniti due fattori: la casualità del progetto e l’aver incontrato una testimone di un argomento tanto caro ai ragazzi, come quello della lotta alla mafia”. Professoressa Settembrini, quali sono le attività svolte e gli obiettivi raggiunti dagli alunni delle II medie? “La prof.ssa Di Leo ed io, siamo anche insegnanti di Educazione Civica. Durante l’anno scolastico appena terminato, abbiamo elaborato 4 verifiche riguardanti sia i temi della materia Cittadinanza a Costituzione, sia quelli inerenti a “connessioni digitali”. Abbiamo portato i ragazzi (e non solo), a riflettere su una tematica molto importante, in seguito ai dati elaborati, secondo cui gli adolescenti -appartenenti alle medie in particolare-, passerebbero più tempo sui social media che a scuola, o con la famiglia. Punto sul quale tutti i ragazzi (e non solo), sono stati invitati a confrontarsi. La prima parte di “connessioni digitali, quindi, prevedeva il saper utilizzare in maniera adeguata, gli strumenti digitali. Gli studenti, nella prima parte, hanno dato il via ad una petizione on-line (ogni classe aveva un tema ed un obiettivo); si sono informati (riconoscendo anche ipotetiche fake news), attraverso interviste, elaborazione dati, questionari e collaborazione/condivisione con tutti gli alunni, per elaborare la petizione on line, o la presentazione effettuata successivamente al Municipio di appartenenza, attraverso l’esposizione e l’interrogazione orale con l’Assessore che doveva, a sua volta, rispondere agli argomenti elaborati dagli studenti. Nella seconda fase, invece, hanno realizzato un podcast (acquisizione/gestione ed elaborazione delle informazioni). Un progetto trasversale che abbraccia tutte le discipline a livello scolastico, fino ad arrivare alla parte progettuale, pratica, tecnica, creativa ed espositiva”. Professoressa Tomassi, parliamo quindi di un progetto per tutelare i ragazzi, ma anche sull’importanza della collaborazione di ogni singolo individuo? “La parte fondamentale, il cuore del progetto per Save the Children era principalmente l’attenzione dei rischi in rete, sul corretto utilizzo dei dispositivi in maniera consapevole e attiva, al fine di diventare “cittadini digitali”, non solo per mettere video sui social. Abbiamo fornito ai ragazzi la consapevolezza che possano essere prodotti anche “pensieri e realizzazione di pubblica utilità. Con questo progetto, abbiamo offerto ai nostri studenti un quadro completo tra incontri già organizzati con responsabili della Polizia Postale, per far comprendere che la fluidità apparente data dalla connessione internet, in realtà è un mare pieno di pericoli per cui navigare sì, ma con attenzione; sempre .I nostri studenti inoltre -e questo ci ha donato una grande soddisfazione- hanno imparato a cooperare con ogni compagno di classe, mettendo da parte i sentimenti “avversi”, per arrivare ad ottenere invece, il comune obiettivo; la realizzazione di quanto si erano prefissati” Dottoressa Curci, per il secondo ed ultimo anno del progetto, che cosa è previsto? “Se nella prima fase si è lavorato con la scrittura creativa e sulla potenza del messaggio vocale, per il prossimo anno è previsto invece, l’elaborazione di immagini e video (digital story telling) e come creare e lanciare una campagna di marketing sociale (sensibilizzazione dei loro coetanei sui giusti comportamenti da mantenere anche in rete), come ad esempio la prevenzione del cyber bullismo o stalking”.
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