“ALLA RICERCA DEL DIALOGO PERDUTO”

A cura di Luigi Giannelli

Si parla tanto di bulli e di bullismo riferendosi a comportamenti anomali, antisociali, spesso violenti, dettati da una volontà di emergere, di distinguersi e quindi di prevaricare chi si reputa, spesso senza ragione, sotto ad una personale valutazione. Chi è questa gioventù bullista, e perché è cosi? Per la maggior parte sono ragazzi nato in casermoni e/o in borgate abbandonate da Dio e dall’uomo. Strutture che non reggono il confronto neppure con il più fatiscente carcere. Abbandono, violenza, ignoranza: questi sono i condimenti per creare il giovane delinquente . Dico giovane delinquente per indicare il ladruncolo, lo spacciatore e quindi anche il bullo. Il carcere è pieno di queste vite strappate alla normalità. Ragazzi che non conoscono il significato di un gesto affettuoso, ragazzi svezzati da soli nel buio degli angoli, contornati di mille siringhe macchiate del sangue innocente di figli, indotti al suicidio dall’arroganza del consumismo e dell’indifferenza. È un paradosso quello di cercare in strutture carcerarie situazioni d’umanizzazione, che poi all’esterno si spengono immediatamente per mancanza d’ulteriori strutture che dovrebbero essere obbligatorie: istituti atti all’assistenza, al procacciamento di un lavoro e quindi al conferimento di una dignità che è sconosciuta al giovane delinquente/bullo ed è una delle concause che l’hanno ridotto tale. Il carcere, in realtà, dovrebbe essere solo il deterrente per chi del crimine fa una scelta precisa ed oculata e non per accogliere l’irresponsabilità di uno stato sociale che, proprio con la detenzione, affina nell’aspetto deteriore le tendenze criminose di un individuo, in breve, laddove esista una possibilità rieducativa e di recupero, il carcere non solo è inutile, ma controindicato e deleterio. Il cittadino deve proteggersi, questo è giusto. Il cittadino civile deve anche prendere coscienza di ciò che avviene nella società da lui stesso creata e proteggere i suoi beni, si, ma anche e soprattutto i beni comuni di cui fanno parte scomoda gli emarginati, i poveri ed anche i bulli. È attinente il discorso con quello dell’educazione civile di ogni singola persona, educazione cui tutti hanno il dovere di partecipare, di dare il loro contributo. Primi fra tutti, coloro che ci governano e tanti di loro che affermano – come lo struzzo che nasconde la testa per non vedere – che il carcere deve rieducare. Cosa? rieducare? Il carcere deve detenere. Il canile detiene i cani rabbiosi, scordando che l’aggressività di un animale è strettamente interdipendente dall’educazione ricevuta dal suo padrone. Vorrei che fuori si cominciasse a parlare di riadattamento, rieducazione, risocializzazione ecc. ecc. Anche se è giusto, nello stesso tempo, che nelle carceri si possano trovare spazi per la cultura, per il lavoro e per tutto ciò che può migliorare che però deve, se vogliamo prevenire e non curare, essere preceduto da una capillare e responsabile cultura esterna e in sostanza, valida ed operante. Cerchiamo intanto di distruggere le origini del “male”: i casermoni di Corviale, ad esempio, la città dormitorio di Laurentino 38, i cortili in cemento armato di Tor Bellamonaca, dello Zen di Palermo, di quello di Bari, di Scampia – Napoli, di Milano e cento altri luoghi noti che non fanno onore alla nostra società cosiddetta civile

Lascia un commento

Your email address will not be published.