Tra storia e speranze

a cura di Priscilla Rucco

La giornata internazionale dei diritti della donna, più banalmente ribattezzata “la festa delle donne”, nata l’8 marzo del 1977, fu istituita con l’obiettivo del raggiungimento di eguaglianza e parità di diritti tra i sessi.
A distanza di 44 anni, ci sorprende che non sia possibile affermare che tali buoni propositi, abbiano ottenuto un riscontro anzi, sembra quasi che ci sia una netta retrocessione tra i diritti di eguaglianza e la parità sotto ogni aspetto. Fino quando i dati riguardanti le uccisioni e le violenze saranno in aumento (il 45% del totale degli omicidi riscontrati nel nostro paese) e fino a quando in Italia oltre il 31% delle donne è stata soggetta ad una forma di violenza tra fisica, sessuale a quella sottile e più comune come quella psicologica (dati Istat), sembrerebbe quasi che questo giorno possa essere ribattezzato come una sconfitta tra le parti. La donna, dapprima “angelo del focolare domestico”, musa ispiratrice dei più grandi poeti, icona di grazia e stile nella pittura e nelle arti figurative, nelle rappresentazioni artistiche e canore, non è riuscita a sensibilizzare in maniera del tutto convincente per un raggiungimento di emancipazione soddisfacente di vecchie e nuove generazioni, al rispetto e alla parità di diritti, perdendo ad oggi, la vera indipendenza. Finché ai colloqui lavorativi verrà richiesto lo stato civile e di famiglia, violando così, ancora una volta la privacy, fino a quando una donna che ha subito violenza o molestie verrà additata per il proprio abbigliamento, per l’utilizzo di cosmetici quali rossetti o smalti di colori considerati poco ortodossi, la società tutta non potrà dirsi evoluta né una donna, sentirsi emancipata. E’ anche vero che le donne si sono fatte strada nella politica, nei mestieri che prima erano considerati solo maschili ma è questa l’evoluzione che aspettavamo? Probabilmente gli stereotipi da abbattere, per restituire dignità e il giusto valore alla figura delle donne, per le quali vengono coniati nuovi termini (sindaca, ministra, direttrice d’orchestra), sono proprio nel non dare vita ad un nuovo linguaggio al femminile, ma nel rispetto che ogni essere umano, indipendentemente dal proprio essere, meriti indistintamente. 

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