IL MAGO DI ARCELLA NON ESISTE PIÙ


Se ne stava lì, Antonio Battista. Con la sua barba incolta, le mani tremolanti, la voce fioca come il respiro di chi ha l’anima logorata. Lo chiamavano il “Mago di Arcella” — e lo era davvero, ma di quella magia tragica che negli ultimi tempi si consumava nel buio della mente, nei corridoi asettici delle ASL, nel disfacimento progressivo del corpo.

Era il 1994 quando il Centro di Salute Mentale della USL n. 4 di Avellino lo prese in carico. Aveva già perso la memoria da due anni. Non ricordava i nomi, né i giorni, né il senso delle cose. Si svegliava nella notte col cuore in gola, gli occhi asciutti e le guance bagnate. Piangeva. E nessuno capiva perché. “Personalità nevrotica”, scrissero. “Ansia. Amnesia. Stato ansioso-depressivo in paziente con amnesia senile”.
Poi venne la diagnosi del 2008. L’ASL di Baiano scriveva: “agitazione con ansia in paziente con amnesia senile”.
A chiunque avesse occhi per leggere, era chiaro: Antonio stava svanendo, lentamente, come un’eco che si spegne nella nebbia.
Nel frattempo, il corpo si ribellava. Il cancro alla vescica nel 2003, la chemioterapia, la ricostruzione vescicale, l’astenia, l’incontinenza. Non camminava più senza un accompagnatore. I piedi gonfi, il linfedema alla gamba destra, la sedia che lo accompagnava ovunque.
E mentre il tempo gli toglieva i nervi e la memoria, lo Stato italiano — che pure lo aveva riconosciuto invalido civile al 100% con necessità di assistenza continua — permetteva che, nell’ottobre del 2009, si redigesse una scheda testamentaria a suo nome, battuta a macchina da alcuni dei suoi figli, presumibilmente. Lui, che pochi mesi prima, a novembre 2009, veniva ancora classificato con “disturbo dell’adattamento con reazione mista ansioso-depressiva”.
Lo chiamo testamento, sì. Ma è davvero tale un atto scritto a macchina e consegnato a un notaio da un uomo che non distingue il giorno dalla notte, che ha dimenticato i volti, le strade, forse anche sé stesso? Chi può ritenere valido il volere di un uomo che da sedici anni è in cura per disordini cognitivi, per patologie che divorano la memoria e l’identità come topi affamati? Chi?
Io dico: nessuno. Nessuno in buona fede.
Questa non è una storia di eredità. È la storia di un’Italia che dimentica i suoi deboli. Che li usa, li sfrutta, li piega. È la storia di un vecchio mago che non sapeva più far sparire nulla — nemmeno il dolore. Nemmeno le mani che gli facevano firmare.

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